Come l'arte può cambiare la vita di tante persone detenute

29 novembre 2022

Ci troviamo tra le mura del carcere minorile Casal del Marmo a Roma, è agosto e i giovani detenuti, tra i 16 e i 20 anni, sono riuniti in un’aula comune in compagnia di Salvatore Striano.

Salvatore, chiamato da tutti Sasà, ama definirsi un “attore socialmente utile". Lui è uno di quelli che ce l’ha fatta, ha cambiato rotta al suo destino e quello che ormai è il suo passato è divenuto motivo d’impegno e di lotta per il presente. Ora racconta la sua storia negli istituti di pena e sprona i ragazzi a guardare al futuro, a quello che succederà dopo, quando torneranno liberi. Il loro lavoro però, mira anche a riconoscere le tentazioni del passato, a prevenire di cadere in quelle future, perché una volta usciti non mancheranno le situazioni pericolose a cui si esporranno.

Lui che la dura realtà detentiva la conosce davvero, riesce a sintonizzarsi con loro e ad aprire un varco attraverso i suoi laboratori creativi, in cui i detenuti di tutte le età sono chiamati ad esprimersi, molto spesso tirando fuori rabbia, dolore ed emozioni che li hanno portati a sbagliare, a commettere reati.

Salvatore ci è riuscito ed oggi il suo lavoro si ripercuote nelle vite dei detenuti e nel loro percorso di recupero, ma quanti ci riescono davvero?

Qui dentro c’è chi ha sbagliato, chi è nato macchiato dal peccato originale della famiglia sbagliata e si definisce con una poetica maledetta “figlio del male”, una logica per giustificare tutta una condizione, un alibi per continuare a sbagliare. C’è chi è uscito senza imparare la lezione ed è tornato poco dopo, chi trova rifugio nella rabbia e resiste, ma comune a tutte queste storie, in fondo, c’è quella zolla di terra su cui Striano cerca di coltivare la speranza, la ricerca della libertà.

Il laboratorio di scrittura che Salvatore ha svolto nell’ambito del progetto “Nel segno della libertà” segue tre discipline: poesia, testi musicali e testi teatrali. I contenuti dei lavori
nascono dai dialoghi e dalle riflessioni svolte nelle ore del laboratorio ma sono filtrati dalle storie personali di ognuno di loro. Striano racconta la sua storia personale e invita tutti a riflettere sulla parola “Libertà” e sul suo
significato più profondo.
Gli occhi dei ragazzi sembrano accendersi.

Alla domanda “cosa è per te la libertà?” un ragazzo che chiameremo Lorenzo risponde senza pensarci troppo, con inconfondibile lucidità: “libertà è nascondersi, perché non puoi vivere quello che vorresti, noi siamo liberi quando ci nascondiamo, solo così possiamo esprimerci”.


Parole intrise di una profonda sofferenza, una storia vissuta a testa bassa da chi vuole scappare dagli sguardi di tutti, della gente che sa chi sei, da dove vieni e che “la fiducia non te la darà mai”.

Lorenzo scrive canzoni e il suo sogno è di poterle cantare di fronte ad un pubblico, ma confessa con voce interrotta che lui certi sogni non se li può proprio permettere.

Un suo compagno dice di aver scritto dei pezzi rap che non ha mai registrato. Nasce quindi la voglia e la curiosità di poterlo fare: avere un insegnante che curi la scrittura e la musica, avere uno studio di registrazione e la possibilità di potersi raccontare. C’è anche chi è più restio ad aprirsi ma comunque partecipa, inizialmente ascolta e, dopo
un po’ butta nero su bianco qualche pensiero.

Passa il tempo nell’aula e sempre più traspare come nessuno abbia voglia di raccontare i motivi del proprio arresto, ma nel dialogo emerge chiara la richiesta di aiuto, i ragazzi vogliono sentirsi chiedere come stanno, cosa vogliono fare ora e cosa dopo, hanno bisogno di fiducia e di una visione di futuro. La necessità dei ragazzi dell’Ipm romano è tra le più semplici ed umane: il bisogno d’ascolto. Non a caso il Procuratore Gratteri riguardo questo aspetto, in un’intervista disse: “La gente non è omertosa, la gente non sa con chi parlare”.

La scuola, che in molti casi ha fallito con questi ragazzi, ha bisogno di creare modalità di apprendimento e approfondimento diverse da quelle tradizionali in carcere.
Creatività, arte, fantasia, per trovare il modo di ricostruire vite spezzate, tirando fuori risorse che essi stessi non sanno di avere. Diventa fondamentale, secondo Striano, istituire
presidi di cultura permanenti che includano modi alternativi per rieducare chi non ha avuto la possibilità di comprenderne l’importanza. “I ragazzi una volta arrestati ed entrati in carcere devono iniziare subito un percorso di recupero reale con maestri d’arte, senza badare a spese perché si tratta del futuro dei giovani, altrimenti lì dentro si imbastardiscono, diventano cattivi, ancora più arrabbiati e quando escono fanno ancora più danni” dice Salvatore - “per me questo è davvero un
grido di protesta, non è così alto il numero di minorenni detenuti in Italia, parliamo di 1000 ragazzi, iniziamo almeno da qui”.

Da qui parte il percorso che vede dalle suggestioni sulla libertà dei giovani carcerati, realizzarsi le produzioni artistiche dei giovani artisti delle Accademie di Belle arti europee, che sono ben 7, guidate dalla Accademia di belle arti di Roma con il giovanissimo comitato curatoriale dei “Dispositivi comunicanti”. La mostra sarà aperta al pubblico dall’11 novembre al 12 dicembre presso l’Istituto Centrale per il Restauro di Roma.

Chiediamo a Salvatore cosa i giovani detenuti pensano di questo esperimento artistico e lui ci risponde che “Solo la bellezza potrà salvarli e questa è una delle strade più belle, perché li mette a contatto con altri giovani che non solo non li giudicano, ma anzi hanno ascoltato le loro istanze, le
hanno trasformate in messaggi e opere artistiche. Il loro bisogno di ascolto è stato finalmente recepito. Speriamo si possa proseguire ed estendere ad altri istituti di pena.”
Per uscire da queste dinamiche – spiegano i ragazzi – ci vuole più coraggio che ad entrarci.

Smettere di essere cattivi è pericoloso, per questo serve maggiore supporto educativo, psicologico, legale e soprattutto culturale nelle carceri e nel percorso di reinserimento sociale.
A proposito di questo, parlando di futuro ed aspettative emerge quanto sia importante creare un ponte tra dentro e fuori le mura, che sia sano ed utile. I ragazzi hanno bisogno di contatti:
creare opportunità rieducative non con lo scopo unico della sanzione penale, ma fornendo

opportunità lavorative ai detenuti come parte di un percorso di crescita personale e integrazione sociale che li aiuti a sentirsi utili e soddisfatti.

Combattere la criminalità non è facile quando fa leva sui sentimenti più comuni: la voglia di riscatto, la rabbia, la noia, la passione; ed è per questo che lo Stato finora non è
stato in grado di fronteggiare adeguatamente il problema.
La criminalità organizzata non può essere combattuta con la forza; la lotta deve essere culturale, una battaglia civile combattuta con l'informazione, aprendo gli occhi alla gente,
rieducando, facendo capire quali sono i veri "eroi", quanto più bello è rispettare e non oltraggiare, puntando la luce sullo scenario di chi promette unione e protezione, creando invece
degrado, pericolo, corruzione, buio. Nessuno che gli chiederà mai scusa.

Tra i pensieri scritti nei testi del laboratorio molti si sono interrogati sull’idea di prigionia, in particolare quella mentale, sul loro forte senso di costrizione, ovvero la mancanza di
alternative, le barriere, la rabbia, il vuoto dentro e fuori, e l’arte sembra aiutarli.

Raccontando la propria esperienza, Salvatore dice: “a me il teatro ha fatto rinascere, ho capito che ero uno scarabocchio da disegnare meglio” e lo ha fatto anche reinterpretando “La Tempesta” di Shakespeare chiamandola “La tempesta di Sasà” durante la detenzione nel settore di massima sicurezza di Rebibbia.
Oggi Sasà è un attore affermato.

La libertà, dice il Maestro ai ragazzi, ricordando Ariel in Shakespeare “è purezza”, quando sei così felice e soddisfatto della tua vita che restare nel perimetro della legalità e non offendere gli altri ti fa stare bene. Devi star bene per essere libero. Dovremmo ricordare che non esistono ragazzi cattivi, esistono i bisogni, i fallimenti e le leggi: il
sistema deve investire quanto più possibile per far sì che nessuno debba nascondersi per essere
libero.


“ ...ma se capirai, se li cercherai fino in fondo se non sono gigli son pur sempre figli vittime di questo mondo.

” Fabrizio De Andrè, Città vecchia.

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