29 novembre 2022
Sono venuta a conoscenza della storia di Santo Stefano solo pochi mesi fa.
Ho sempre pensato che il dialogo fra presente e passato sia il modo migliore per comprendere il percorso della storia e capire come costruire un futuro più giusto. Così, nel tragitto in mare tra Ventotene e Santo Stefano, mi sono chiesta quale possa essere il modo più efficace e rispettoso per convincere i giovani ad approdare in un luogo così silenziosamente segnato dalla sofferenza.
Per mesi, studiando la storia di S.Stefano ed il progetto di recupero dell’ex carcere borbonico, ho immaginato un luogo che, una volta raggiunto, toccato, calpestato, è rimasto solo in parte quello che avevo pensato. Il contatto reale c’è stato attraversandolo.
Un’ architettura imponente, un abbraccio di mura rovinate come ferite ancora aperte e l’apparente vuoto delle celle abbandonate hanno fatto da palcoscenico alla voce attenta di Salvatore, guida di questo viaggio reale all’interno del carcere. Con un accento campano intercalato da qualche simpatica accezione romana, il suo sguardo serio e coinvolgente ha dato voce a quel silenzio tormentato raccontando le grida che abitavano le celle dopo il tramonto, ha ridato forma alle indicibili sofferenze e alle storie che hanno fatto la storia della nostra Democrazia. Ha rievocato la speranza che Perucatti ha portato ai detenuti del carcere applicando una visione rieducativa della pena. Momenti unici, tra cui le partite di calcio in cui nella stessa squadra furono messi detenuti e secondini a giocare contro i ragazzi di Ventotene, creando incontro ed intesa tra gruppi che la storia aveva sempre tenuto separati.
Viene naturale chiedersi, quanto è importante creare un punto di contatto tra opposti? Quanto rende più realizzabile l’obiettivo di un progetto cercare una prospettiva?
Oggi nelle nuove generazioni, a cui io appartengo, sembra trasparire più consapevolezza, maggiore ricerca di dialogo e di partecipazione attiva. Giorgio Gaber cantava: “La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione” semplificando un nodo così importante per la società.
È libero chi ha l’accesso ad alternative, chi vive la collettività. La Democrazia è la terra in cui la forza dei nostri pensieri può spaziare guardando al futuro, dove ognuno è ascoltato, dove si fa parte di un qualcosa che è un sentire comune. Al contrario però, quando queste porte di accesso vengono a mancare, quando i ragazzi invece di incontrare possibilità trovano barriere, ai loro occhi insormontabili, è probabile che a questi valori si sostituiscano convinzioni diverse e ci si ritrovi a seguire il destino e le leggi della strada. Così nascono e trovano spiegazioni fenomeni quali abbandono scolastico, conflittualità, il bullismo, la criminalità organizzata, la perdita di valori e del senso di umanità.
I giovani, oggi più che mai, hanno bisogno di aggregazione, di progetti e di sentirsi parte attiva della collettività.
L’isola di S.Stefano ed il carcere come una comunità dalla storia durissima, mi hanno ospitata con delicatezza e ho percepito come questo possa essere un luogo di dialogo, confronto e aperto verso alti pensieri, primo fra tutti la libertà, la dignità della persona, la partecipazione attiva: i valori della nostra grande Europa ma anche quelli di luoghi più piccoli e magari ancora sconosciuti o emarginati che tanto hanno da raccontare.
Questo spazio di silenzio, se rispettato, può risuonare delle voci dei giovani che sperano in un futuro concretamente pacifico e luminoso. Facendo tesoro della preziosa e nobile ferita di questo luogo, possono nascere incontri, seminari, residenze artistiche, workshop, proiezioni cinematografiche ma soprattutto dialogo e scambio.
Un luogo profetico, l’ex carcere di Santo Stefano, che io ho guardato e sentito, ne ho compreso il caos di voci e pensieri che ha ascoltato e contenuto, ho visto le rovine che oggi lasciano spazio al futuro e ho capito che l’abbandono e la sofferenza possono davvero farci cambiare e indicarci la via per la trasformazione, spero, vissuta sempre più da giovani curiosi e liberi.